Tapulone

Tapulone

La leggenda del Tapulone

È andata così: al tempo dei tempi, tredici omaccioni che tornavano dall’isola di San Giulio sul Lago d’Orta, dove si erano recati a venerare le spoglie del Santo Protettore dell’Alto Novarese, giunti là dove ora è Borgomanero, avvertirono d’un tratto stimoli mai provati di un appetito che potremmo meglio chia­mare fame.

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Era stata a ridestarli l’aria fresca e sottile che vi rifluisce dal Monte Rosa e che, da tempo immemorabile, vi fa prosperare quella che usa chiamarsi industria alimentare.

Senonché i “nostri”, presi dal sacro fervore del pio pellegrinaggio, avevano dimenticato di rinnovare le provviste, e le bisacce cadevano desolatamente vuote sul dorso dell’asinello che li aveva seguiti nel lungo cammino. E poiché questo rosicchiava in quel momento con evidente soddisfazione un cardo offer­tosi alla sua onesta fame, fu suggerito da qualcuno che con uguale soddisfazione lo stesso asinello avrebbe potuto essere rosicchiato dagli affamati padroni, i quali, senza attendere oltre, si diedero a farne braciole. Pare tuttavia che queste rivelassero insospettata durezza, talché fu d’uopo ridurle in minuti frammenti e tenerne la pentola lungamente al fuoco.

Sortì una vivanda che i “tredici”, giudicarono eccellente, e che li dispose siffattamente all’ottimismo da indurli a non riprendere il viaggio e a stabilirsi in un luogo che loro sembrò rivelato da San Giulio in persona. Il villaggio che ne nacque, è, col passare dei secoli divenuto città, e i suoi abitanti hanno da gran tempo dimenticato gli usi dei lontanissimi fondatori: non già però la vivanda che è forse all’origine della loro fortuna. E, sostituita con tenera carne di manzo finemente tritata quella bonaria dell’asino della storia, la gettano su un soffritto d’olio e burro profumato da rosmarino, lauro ed aglio; quindi la cuociono a fuoco lento, e quando tutto il sugo è assorbito, la mantengono umida e morbida irrorandola di buon vino nero. Dopo un’ora o poco più tutto è pronto, e può essere servito, meglio se con polenta ben cotta, e se sposato al generoso vino delle colline che si stendono da Maggiora sino a Gattinara e a Ghemme.”

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