77° anniversario dell’eccidio di Mora e Gibin

L’anniversario del massacro di Ernesto Mora ed Ezio Gibin (23 febbraio 1945) verrà ricordato a Cressa, presso il cippo dedicato ai due eroi della Resistenza borgomanerese, domenica 27 febbraio alle 11. Organizzano le sezioni ANPI di Borgomanero, Cressa e Fontaneto d’Agogna col sostegno dei Comuni di Borgomanero e Cressa.

Cenni Storici:

BORGOMANERO – 23 febbraio 1945 – Massacrati

Caduti: Ernesto Mora – Ezio Gibin

VFra le unità garibaldine che operavano nel Medio Novarese e che, sovente, portavano le loro azioni anche nel capoluogo di questa zona, Borgomanero, c’era la “Volante Loss”.

Il comando della “Loss” affidò ai garibaldini Mora e Gibin il compito di catturare Roncarolo, un piccolo gerarca che godeva a Borgomanero e nel circondario della fama di torturatore di partigiani. Ezio Gibin, nato nel 1926 ad Ariano Polesine (Rovigo), ed Ernesto Mora, nato a Borgomanero nel 1924, erano due giovani che si erano distinti in azioni difficili e che conoscevano bene la città, il Roncarolo e le sue abitudini. Roncarolo era infatti solito andare nelle ultime ore antimeridiane all’ospedale SS Trinità e, proprio nei pressi dell’ospedale, si appostarono Mora e Gibin in divisa di militi della “Folgore”, il 23 febbraio 1945.

Poco dopo le undici il Roncarolo si fece vivo, scortato da un brigadiere della GNR e da un ragazzotto, Maffei, di Borgomanero. In un batter d’occhio i tre fascisti vennero fermati e disarmati: il ragazzino tremava come una foglia e i due garibaldini, con un intempestivo atto di generosità, dopo avergli dato una buona strigliata, lo lasciarono senza pensare alle conseguenze. Il fascistello liberato, infatti, imbattendosi in una pattuglia della “Folgore”, denunciò quanto era avvenuto poco prima nei pressi dell’ospedale.

La caccia ebbe inizio; i garibaldini e i loro prigionieri vennero avvistati ai confini di Borgomanero. I fascisti spararono ed ricevettero immediata risposta dai due coraggiosi partigiani. Lo scontro si prolungò per circa mezz’ora: due garibaldini contro una nutrita pattuglia di paracadutisti. Durante la sparatoria i due prigionieri riuscirono a sfuggire alla sorveglianza dei garibaldini e a unirsi ai loro camerati. Mora e Gibin nella sparatoria vennero feriti e, mentre Mora tentava di portare Gibin all’ospedale, sopraggiunsero il capitano Roncarolo e i paracadutisti della “Folgore”.

Mora rispose al fuoco nemico ma, ben presto, ferito e senza munizioni, fu costretto ad arrendersi. Gibin venne ricoverato all’ospedale; Mora fu subito sottoposto a tortura perché volevano costringerlo a indicare dove si trovava la sua formazione e da quanti uomini era composta. Mora tacque e non tradì i suoi compagni, anche se venne violentemente bastonato. Poi il coraggioso Mora venne spinto e trascinato per le strade di Borgomanero, il volto tumefatto, tutto il corpo sanguinante per le legnate e le fustigate. I fascisti volevano che la popolazione vedesse quale sorte veniva riservata ai “ribelli”, a chi combatteva contro la Repubblica di Salò. Un gruppo di donne, di fronte allo spettacolo inumano, bestiale, a cui i fascisti le costrinsero ad assistere, non seppero nascondere il loro sdegno.

Nel vicino paese di Cressa, il presidio nazifascista al Mulino Saini, tenuto da qualche giorno in allarme da reparti garibaldini della “Pizio Greta”, venne rinforzato da un nuovo reparto repubblichino al comando del col. Festi.

Il nuovo comandante mandò a Borgomanero un automezzo su cui dovevano essere caricati, per essere trasferiti a Cressa, i due partigiani rinchiusi nelle loro carceri. Roncarolo andò all’ospedale e prelevò Gibin, nonostante il parere contrario del chirurgo che l’aveva operato, dichiarando di aver ricevuto l’ordine di portare il garibaldino diciassettenne a Novara. Poi al carcere prelevò anche Ernesto Mora. Durante il percorso Borgomanero-Cressa i due partigiani furono nuovamente percossi e al giovane Gibin venne spezzato, con il calcio del mitra, il gesso applicato alla gamba appena operata.

Alessandro Bertona, uno dei civili rastrellati dal Festi e costretti ad assistere all’eccidio, testimonia:

«Io ho la sventura di essere testimone al massacro dei due giovani eroi. Gettati dal camion, come fossero sacchi, i carnefici si avventavano con pugni, pedate e calci di moschetto sui corpi dei due partigiani. E’ una gara oscena, selvaggia, a chi picchia di più e più forte. Il calcio di un moschetto si spezza colpendo la gamba martoriata di Gibin. Mora cade al fianco del compagno, con il volto sfigurato anche in conseguenza di un pugno assestatogli da un ufficiale fascista che gli vomita in viso: Va ora a chiamare la tua “Volante Loss”. Non un lamento esce dalle labbra dei due ragazzi. Infine sono trasportati di peso all’esterno del muro di cinta e nuovamente torturati».

Ezio Gibin muore tra atroci sofferenze. Ernesto Mora è costretto ancora a vedere le cose inaudite, terribili, atroci che i fascisti fanno sul cadavere del compagno: i fascisti si lanciano sul corpo inanimato di Gibin, con colpi di tallone gli schiacciano l’occhio sinistro, con un pugnale gli strappano l’occhio destro ed ancora gli squarciano il petto per strappare il cuore.

«Viva l’Italia libera e viva i partigiani!», trova ancora la forza di gridare Ernesto Mora, prima di morire.

La testimonianza di Alessandro Bertona termina con il ricordo di un’ultima atrocità: «A Mora vengono strappati gli occhi».

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